mercoledì 16 aprile 2014

GENERAZIONE DI INFELICI

In questi giorni non mi sto chiedendo cosa spinga una ragazza a buttarsi a quattordici anni dal settimo piano.
Non tanto sul perché di un gesto così, ma su tutto ciò che circonda i ragazzi oggi.
Mi sto chiedendo però perché tutto ciò venga archiviato come una tragedia o come un gesto disperato. 
Io credo che ogni comunità debba interrogarsi su cosa stiamo trasmettendo alle generazioni di giovani. Credo che le famiglie debbano interrogarsi su quale solidità diamo, con le scelte di ogni giorno, ai figli. Credo che la scuola debba chiedersi se sia una fabbrica di voti, un deposito di cultura o un ente educativo che dà i voti ma dopo aver compreso i ragazzi seduti sui banchi. Credo che gli ambienti educativi e sportivi che riempiono una parte del tempo libero dei ragazzi si debbano domandare se accanto alle mille attività rimane il tempo per chiedere "come stai". E soprattutto per aspettare la risposta.
E credo che le politiche giovanili si devono chiedere che cosa si può fare in più, per aiutare i ragazzi a non diventare una generazione di infelici. Di persone fragili e vulnerabili al punto che il riconoscimento sociale diventi la cosa più importante.
Qualcosa in più, ciascun ente educativo e tra loro in sinergia, lo si deve provare a fare.
Ci stiamo giocando una generazione, alla quale stiamo dando poco altro che tanta, troppa tecnologia ed una comunicazione multimediale incontrollata e di conseguenza incontrollabile.
Forse dobbiamo tornare ai sentimenti veri, faticosi ma indistruttibili, e capire che da lì, passano i valori su cui si fonda la vita.
Glielo dobbiamo, quantomeno un tentativo, perché anche attraverso il futuro di questi ragazzi, passa il futuro di questo paese.

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